Naima Morelli

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Tag "surrealismo"

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Che cos’è il Popolo?
Ci sono solo due modi possibili per rispondere a questa domanda, o chiamare in causa studi antropologici del tipo Fabio Dei, Cirese, De Martino, oppure argomentare con l’arte.
L’una comprensione è intellettuale (vi parleranno di società dei consumi, snaturalizzazione bisogni, egemonizzazione e compagnia), l’altra parla direttamente ad un sentire.
Il lavoro di Angelo Formica, che ho avuto modo di beccare alla fiera Rome Contemporary, va esattamente in quella direzione.

Con un’operazione surrealisticamente a supportare un significato, anzi un’identità, quella popolare più precisamente, Formica gioca con i simboli della tradizione.
Il suo background siciliano (è originario di Milazzo) l’ha immerso fin da bambino in un humus culturale che è riuscito a rielaborare solo una volta trasferitosi a Milano, recuperando quel necessario distacco.
Un po’ come Jorge Amado, grandissimo scrittore del Popolo, il quale riusciva a narrare del suo natio Brasile solo quando si trovava a Parigi.

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“Ogni foto è un’esperienza.” conclude con accento francese, capello bizzarro, faccia gentile Alain Fleischer.
Prima di questa conclusione c’è ovviamente tutto il lavoro in mostra da Limen OttoNoveCinque, fotografie ad un primo sguardo cariche di mistero e quasi indecifrabili.

Il ciclo fotografico principale “Happy Days”, consiste in grandi stampe dove provare a descrivere il soggetto è già avventurarsi in un sogno surrealista: una cornice per terra, una proiezione di protagoniste femminili da quadri dell’antichità, un giocattolo a motore raddoppiato che sembra agitare la scena.
Gli effetti di sovrapposizione e illusione farebbero pensare ad un banale utilizzo di Photoshop: niente di più sbagliato. A differenza di quanto si possa credere, è solo questione di una grandissima abilità tecnica. Non di meno il processo con cui sono stati presi questi scatti è parte del simbolismo delle opere.
Spiega l’artista che si tratta della creazione di un collegamento del mondo adulto con quello infantile: “Gli adulti attaccano i quadri sempre alle pareti, i bambini giocano per terra. Ecco che proiettando un’immagine dall’alto, emerge questa impalpabile relazione.”
E si ci potrebbe inoltrare ancora più addentro a queste Correspondaces, in un gioco di rimandi infiniti.
« E’ la dimostrazione del potere della fotografia di catturare l’impalpabile ; io non ho mai visto queste immagini, esse esistono solo in quanto sono state fotografate. Questo giocattolo lo vediamo multiplo solo per via dei tempi di esposizione, così come questa proiezione che sembra scivolare fuori dal suo frame. »
Si avverte molta nostalgia in questi scatti, una suggestione malinconica come se l’artista volesse ricomporre il passato attraverso frammenti di luce.
Carpisco brani di discorso di un fruitore dalla fluente chioma rossa vicino a me : « … un ES invisibile che genera un superio etereo…»
« Prego? »

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Ecco cosa vedete, nascosti dietro al vetro a specchio.
In una stanza metafisica, bianca come uno spazio espositivo, io e l’artista Valentina De’ Mathà ci sediamo ad un tavolo candido, sul quale è adagiato un niveo foglio.
Io scrivo una domanda, e in silenzio passo il foglio a Valentina. Lei scrive la risposta, piega la parte superiore della carta in modo che non sia leggibile e mi ripassa il foglio.
Alla ventesima domanda Valentina si alza ed esce. Anche io faccio lo stesso, ma prima apro il foglio e ve lo attacco, dal verso leggibile, al vetro specchio.

C’è scritto questo:

Cosa c’è sotto?

Il caso che non esiste.

Perché vivi in Svizzera?

All’inizio perché ho improvvisamente sentito la necessità di staccarmi dall’Italia e soprattutto da Roma, verso la quale avevo un attaccamento morboso. Quindi, al culmine di questa morbosità, ho deciso di tagliare il cordone ombelicale e fuggire via senza guardarmi indietro, ma soprattutto perché mi sono resa conto, con estrema lucidità e amarezza, che l’ Italia non sarebbe stata in grado di darmi le opportunità professionali, il sostegno e i confronti di cui avevo bisogno, e che avrei trovato solo viaggiando.

Non era mio obiettivo trasferirmi in Svizzera, anzi, ma dieci giorni prima di partire verso Berlino ho conosciuto Roger Weiss, fotografo svizzero, colui che poi è diventato mio marito.

Ho visto artisti che sulla carta d’identità hanno scritto “artigiano”, tu invece?

Ho solo il passaporto.

L’hai mai persa la carta d’identità?

Mai.

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