Naima Morelli

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Tag "suharto"

“The Act of Killing” is the kind of movie that shuts you up for at least fifteen minutes after the credits. It makes you so uncomfortable that you can just chatter about irrelevant stuff with your friends out of the cinema.
Then, on the tram the way home, you suddenly burst in wordiness.

What happened is that “The Act of Killing” has finally been screened in Italian cinemas.
I went to see it the other day with a group of friends at the “Cinema Aquila”, in Pigneto, Rome.
The Act of Killing is an unconventional documentary film directed by Joshua Oppenheimer.
The film deals with the systematic slaughter of real or supposed communists in the aftermath of a failed coup in 1965 that led to General Suharto assuming power.
The director was not interested in gave a full picture of the historical events though. He didn’t even mention Suharto once.
The documentary revolves instead around the character of Anwar Congo, a leader of paramilitary organisation Pancasila Youth, whose job was to kill prisoners.
Because the historical picture was only hinted, I wouldn’t say it is a movie specifically about Indonesia’s ’65.
I would rather say it’s a movie about “the act of killing” itself, the psychology of the killer and the banality of evil.

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A Giacarta non si vede un capello biondo nel raggio di miglia, invece, al Ranch Market Cafè, dove mi sono data appuntamento con Fx Harsono, ci sono diversi occidentali.
Il posto, dal look volutamente rustico/chic, si trova nella zona Kemang, una zona dove si potrebbe anche passeggiare, nei limiti che il termine “passeggiare” assume in una città trafficata come Giacarta.
Mi trovo a queste latitudini per realizzare un reportage sull’Arte Contemporanea Indonesiana.
Il giorno prima, fortemente irritata per via del collegamento internet mal funzionante che mi impediva di mandare una mail di conferma all’artista, avevo scaraventato per aria un piatto di riso nel prestigioso centro commerciale “Grand Indonesia”. Fortunatamente il mio compagno di viaggio, il fotoreporter Lucas Catalano, era corso ad interrompere le mie mani mulinanti e a tapparmi la bocca e spingermi con un calcio in bagno, prima che la polizia musulmana mi mettesse al fresco per un’eccessiva espressione di personalità.
Censori.
Alla fine la mail è passata e l’appuntamento è stato fissato.
Mi sembrava giusto cominciare la mia serie di interviste da uno dei pionieri dell’arte contemporanea indonesiana.

Fx Harsono arriva un po’ trafelato, saluta un suo amico musicista al tavolo vicino e ordina da bere.
Comincia a parlare in maniera concitata, spiegandomi con dovizia di dettagli ogni passaggio della storia indonesiana, senza dare nulla per scontato, dimostrandosi sinceramente intenzionato a diffondere la conoscenza di qualcosa che gli sta molto a cuore. Essendo uno dei portabandiera dell’arte contemporanea indonesiana, mi stupisco quando mi racconta di non essere un artista a tempo pieno, e di lavorare come professore e come graphic designer: “Mi dedico all’arte il sabato e la domenica. So che potrebbe sembrare un compromesso, ma proprio per il fatto che l’arte non costituisce il mio sostentamento posso evitare di farla piegare a compromessi.
Tutto è cominciato nel 1965. Mi è capitato di esporre anche prima, nel ’62 e nel ’63, ma ho cominciato a fare seriamente nel 1965. A quei tempi ero uno studente, ed in undici demmo vita a questo movimento chiamato New Art Movement. Quello è stato il primo momento importante nella mia vita artistica.

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Hyper-realistic paintings have never been one of my favourite, but actually, when it comes to Indonesian artist Dede Eri Supria, I’m getting more and more interested.
I was searching for information about the New Art Movement for my book on Contemporary Art in Indonesia and I ran into the video above.
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katerina

The italian web magazine Art a Part of Cult(ure) just published the interview I had in Berlin with the curator Katerina Valdivia Bruch. The interview is part of my reportage about Indonesian Contemporary Art.

Here you are the link to the interview

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Most of Agung Kurniawan’s artworks are based on memory. In his famous charcoal work “Very Very Happy Victims” , part of Singapore Art Museum’s collection, he uses a raw irony to depict the situation under Suharto regime, from ’67 to ’98.

He explained me the genesis of this work during my visit to Kedai Kebun Forum:

“I made Very Very Happy Victims in 1995.  I was still a young an angry artist. It was a portrait of  myself and the society at that time because at that time Indonesia economy was one of the best in Asia. At the same time we lived in a kind of fascist regime. Everything was controlled by the government. Indonesia was the copycat of Orwell’s book 1984.
I asked my friends if they feel ok and they reply “Yes, I feel happy, I can eat at McDonalds, school is not expensive, I can have very cheap prize” . So I portrait my generation that felt very happy even though was oppressed by the government. This is the reason why I called it “Very Very happy Victims”. We were happy because we didn’t realize we were victims. If we realize it we can fight, that’s the idea. ”

More about Agung activities on: kedaikebun.com

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heridono

Luogo di coordinate 0:0, probabilmente in un fumetto.

Legata ad una sedia, in mano a scagnozzi mettiamo, chessò, russo-mongoli appassionati d’arte, pronti a scazzottarmi, sono costretta a rivelare cos’è, o meglio cosa ho scoperto, di quest’arte contemporanea indonesiana.

“Ma come faccio a dirvelo maledizione santa! L’arte contemporanea non si presta a definizioni, è fluida, non deve essere ingabbiata, non può…”
Smack!
Il primo cazzotto arriva e quasi mi fa saltare i denti.
Riprova.
“Ci sono tanti artisti diversi, ognuno con la sua poetica, la sintesi, la sintesi cari signori, è depauperazione!”
Non capiscono la parola.
Gli sembra troppo scolastica.
Smack!
Te lo chiedo un’ultima volta…
“Con le buone immagino…” rispondo sputando saliva vermiglia
… cosa cercavi in Indonesia?

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