Naima Morelli

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Tag "Spain"

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I remember one beautiful evening few years ago in Rome. I was walking with my new friend Francesco, a mime just met at Cinema Trevi. Quite strangely for a mime, he was a chatterbox. I thought that was because he couldn’t talk on stage, so that was his way to vent. Since I just came back from an opening at Gagosian gallery, I was wearing red lipstick, a little back dress and red shoes. Francesco and I keep on whirling in the street paved with cobblestones and he said: “You know what the beauty of life is? That you can live wherever you want. You just have to choose a city, and you can move there anytime.” Then he went on telling me about when he was my age – twenty-one at the time – and he moved to Spain by himself. He was working in a bar near the beach, studying as an actor at the same time. He also told me about that time that he saved a girl abused by a group of guys – an anecdote he clearly unsheathed to impress me. Aside from that, the beautiful thing about Francesco was his constant excitement and exaggerated optimism. He could have been banal and cliché in his representation of happiness, fancying sunsets on the beach and the like, but he was still infusing me merriness and even a little inspiration.

Over the years I kept on asking myself: Is that true? Can you really pick a city you like and decide to move there on the whim?

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“Heroinas”, appena conclusa negli spazi del Museo Tyssen e alla Fondazione Caja Madrid, è una di quelle rare mostre che oltre a porre dei problemi, una caratteristica tipica del contemporaneo, si preoccupa anche di risolverli.

Il problema in questione, di scottante attualità, è quello delle rappresentazioni della donna, qui risolto con un taglio curatoriale degno del miglior sarto madrileno; la scelta è quella di attingere in primo luogo al mito, substrato profondo di tutta la cultura europea, interpretato alle volte in maniera filologica, rileggendo figure sottovalutate, a volte in maniera polemica, operando un capovolgimento dei ruoli. D’altronde, come ci ricordare il Direttore Artistico Guillermo Solana: “Le femministe hanno spesso trasformato gli stereotipi misogini in immagini sovversive”.
Tutto questo senza tradire lo spirito degli artisti in mostra, molti dei quali, per semplici motivi cronologici, non potevano certo prendere parte al dibattito sul femminile, eppure ci hanno restituito delle eroine di grande intensità e complessità emotiva, mettendo in crisi la monolitica dicotomia Madonna rassicurante-Venere seducente, maternità e oggetto erotico, che troppo spesso si è trasformata in una lettura di molte figure della storia dell’arte, oltre a sembrare, come sappiamo, il bivio obbligato per il quale ogni adolescente degli anni 2000 debba passare.
Spiega Solana:”La storia della cultura occidentale è piena di immagini di donne seduttive, indulgenti, sottomesse, sconfitte e schiavizzate. Ma questa esposizione è centrata su donne forti: attive, indipendenti, sfidanti, ispirate, creative, dominatrici e trionfanti, o, per usare una parola chiave delle femministe, questa mostra comprende immagini che siano fonte di “empowerment” per le donne stesse”
Non più oggetto ma finalmente soggetto, insomma.

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