Naima Morelli

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Tag "sorrento"

 Looking at the sheets of my Indonesian reportage stained with Java tea I really start missing Yogyakarta.

In these days I’m in my hometown Sorrento surrounded by mandarini’s smell, writing the first draft of my book about Contemporary Art in Indonesia.
I’m trying to recollect the memories of these days in Yogya, from the amazing studio of Heri Dono to the taste of the Pisang Goreng, the fried banana with melted javanese sugar and chocolate.

We don’t have original Java tea here in Sorrento; I’ve to content myself with the Lipton version.
Whatever, tea is tea. As Proust teaches: “As long as you have a madeleine, a pancake or a fried banana to be dipped in tea, you could recollect memories”, or something like it.
I feel like adding to Proust’s statement that all the contemporary art starts from a substantial breakfast. Definitively I’m on the good track.
Actually, can I have extra chocolate on my Pisang Goreng?

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Per due giorni all’anno Eduardo De Martino, riprende i pennelli, li intinge nell’olio di lino, misto a due gocce di essiccante per essere sicuro di rispettare i tempi, e comincia a dipingere.

E’ ormai anziano, centenario, il suo animo è pacificato, basta incrociatori, corazzate, corvette e fregate, stavolta il suo è un quadro “in fieri”, dove con una campitura cerulea crea il cielo, e tuffandosi nel turchese lo distacca dal mare. Poi pennellate leggere di bianco titanio, tic tic, come in un minuetto, e si materializzano delle piccole vele, nel picchiettare una virgola rossa, è Fara, e questo è il Trofeo De Martino, un dipinto che dura circa 4 ore, nasce e scompare in due giorni, ma rimane molto più a lungo nella memoria emotiva dei suoi partecipanti e di coloro che, affacciati dalla costa alta e rocciosa, ne osservano la leggera poesia.

Le imbarcazioni dipinte da De Martino, si trovano nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo, coerentemente alla vita di un uomo che ha percorso come decoratissimo ufficiale di marina e come ispiratissimo pittore le rotte che da Meta di Sorrento conducono all’Inghilterra e al Sudamerica.

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Sarà anche inserita all’interno del Festival Internazione della Fotografia di Roma, ma la mostra “Il teatro dell’effimero”, comprensiva di più di trenta scatti che ripercorrono l’attività di Giuseppe Desiato dal ‘60 al ‘78, è molto di più.

Forse.
Ecco, la prima impressione è di smarrimento.

Bisogna prendere le foto esposte per fotografia vera e propria, imbattendosi così in istantanee strappate ad un mondo onirico, oppure bisogna vederle come documentazione delle perfomance messe in scena da Giuseppe Desiato?
E’ questo il bello, e forse si tratta proprio la stessa cosa di cui ci parlano le donne, gli uomini, i bambini e i manichini un po’ sfocati dentro le loro cornici: la fluidità delle cose.

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In qualche caso si è trattato di affrontare all’andata un mare burrascoso in aliscafo e un altrettanto traumatico ritorno in circumvesuviana, ma i pur strazianti sussulti, cigolii e stridii di un treno che sembra sempre essere sul filo del deragliamento, non si sono rivelati bastevoli a dissolvere nella tensione la dolce dimensione-illusione anticoromana che poi era la meta del viaggio.
Il  titolo scelto per la mostra ospitata dal Museo Archeologico di Napoli è “Alma Tadema e la nostalgia dell’antico”, una spettacolare rassegna di artisti di fine ‘800 capaci di far rivivere in pennellate vita quotidiana e antichi fasti di un mondo del quale non rimangono che rovine e le testimonianze pompeiane. Questi artisti lavoravano organizzandosi dei grossi archivi fotografici di pezzi originali, molti dei quali sono attualmente conservati all’interno dello stesso Museo Archeologico che, con un operazione di grande interesse, ha deciso di esporli a fianco dei quadri che li ritraggono.
L’esposizione è intitolata al pittore olandese adottato dell’Inghilterra Sir Lawrence Alma Tadema, artista fino ad ora ingiustamente poco considerato in Italia. In realtà, girando per le sei sezioni allestite si fatica a ritrovare i quattordici quadri promessi.
C’è da dire però quei pochi pezzi esposti, probabilmente neanche i più rilevanti, sono spettacolari.

Dalle grandi tele impeccabili nell’accostamento cromatico, descrittive senza perderne in poesia, precise e evocative, ai piccoli acquerelli e oli (uno su tutti, “la scala”, tavola oblunga e stretta in una cornice dorata, un raffinato oggetto-idolo  per cui perdere la testa) tutto in Alma Tadema ti dà l’impressione di affacciarti alla finestra della storia.
Chi ha avuto modo di poter ammirare i suoi quadri solo in riproduzioni certo non rimarrà deluso. D’altronde fino ad ora un Alma Tadema così non si era visto in Italia, e chissà quando accadrà ancora…

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