Naima Morelli

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Tag "minimalism"

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For years I’ve considered myself a massimalist.
I’m Italian, I’m Neapolitan. We are baroque people. We are about adding, getting into the abundance of love, life, colours, art, words, food, everything. We don’t throw away stuff. We are sentimental people and everything has a value to us. An old handkerchief can remind us of a particular day, a necklace of a particular person. Objects for us are about suggestions, evocations.

Also, we don’t throw away stuff because “It can always be useful”. We stuff our shops with exotic objects, our wallets with family photos, the windows of our car with praying cards, our bookshelves with books. We are curious people, we are open to change our mind even in the span of a short conversation – in fact more often than not we are also contradictory in our speaking and thinking. I’m guilty of that myself, never getting straight to the point but continuously overlapping levels and levels of thoughts. A common Neapolitan saying is: “A cap’ è na sfoglia ‘e cipolla”, meaning “The head is as layered as an onion”. We might have an opinion about everything, but deep down we question everything.

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Ci sono artisti che non si abitueranno mai all’invadenza della tecnologia in campo artistico, ce ne sono altri per il quale lavoro si rende indispensabile, e infine c’è chi pur non utilizzando per niente il mezzo tecnologico lo richiama nella propria opera a livello subconscio. Subito dopo c’è Niele Toroni.

Com’è possibile che il più minimalista dei pittori la cui ricerca artistica si basa sulla ripresa dell’essenza della pittura evochi così distintamente un immaginario diametricalmente opposto?

Basta pensare ai pixel.

Sono pixel i quadratini di pittura monocromatica con cui Toroni ritmicamente dipinge le grandi tele, la carta, le pareti della galleria Artico; invariabili sono le misure del pennello che utilizza (il n.50) e i centimetri di intervallo tra un segno e l’altro (30 cm).

Eppure, proprio quando ci si convince di questa analogia, quando lo sguardo si fa più indagatore, ci si rende conto che sotto l’apparente schematicità, ogni impronta è diversa dall’altra, per quanto impercettibilmente.
Ed è proprio allora che l’uomo, impone la propria imperfezione, un’artistica imperfezione, contro la fredda perfezione della macchina che diventa così mera ripetizione, non più arte ma matematica.

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