Roberto Coda Zabetta, Lavori Recenti al Pan di Napoli
“Incalzatrice della storia Freno del tempo Tu Bomba / Giocattolo dell’universo Massima rapinatrice di cieli Non posso odiarti”
Correndo giù per Via dei Mille nel caldo di un aprile napoletano del duemilaundici, cercando di arrivare al Molo Beverello in tempo per prendere l’Aliscafo dell’una e cinque, vale a dire essere a Sorrento per le due meno un quarto circa, ecco in questa corsa (perché si sa che il movimento fa arieggiare il cervello, purchè non vada in iperventilazione) le immagini della mostra di Zabetta si sovrappongono, si alternano in rima baciata, alternata, incrociata e slogata ai versi di “Bomb” di Gregory Corso.
Sulla rampa di legno vigilata dai Vucumprà, a fianco al Maschio Angioino, inevitabilmente parole e immagini sono già tutta una pappetta, sbatacchiate come un frullatore nella mia testa, non resta che sedersi sull’aliscafo e fare un po’ di ordine.
Dunque, Coda Zabetta non penso proprio che abbia scritto una lettera d’amore alla Bomba, quello è stato Corso. Piuttosto quello di Coda Z. si tratta di un lavoro ordinato che ha condotto a un risultato efficace, puntuale e profetico, come ci hanno tenuto tutti quanti a rimarcare con occhi da Cassandra color acque di Mergellina, alludendo chiaramente alla recentissima tragedia nucleare giapponese.
Niente amore quindi, una fascinazione peut-être?
Roberto, con un aplomb biellese e un pantalone rosso a testimoniare che il bianco e nero è solo una scelta stilistica, non di vita, era interessato a quest’idea del fumo, romanticamente nata osservando gli effluvi del vulcano Merapi in Indonesia, e sviluppata come continuazione della sua precedente esposizione milanese “Nuvole Sacre”.
Siccome siamo a Napoli, questo discorso del fumo si carica anche, mi dice Coda Z., della suggestione del Vesuvio che… APAMARIN! Il Vesuvio!?!
A questa mia esclamazione del tutto imprevista Ro.Co.Zab. ha un sussulto, alchè cominciano a sentirsi sempre più vicine le tamorre incalzanti della canzone Vesuvio degli Zezi e lui, intimidito dall’atteggiamento degli astanti che cominciano a saltellare a ritmo, si, anche quelli in giacca e cravatta solo un minuto prima tanto rispettabili, si appiattisce contro una sua statua argentata rappresentante un fungo atomico.
Gli dico che sulle spiagge di Sorrento, senza nient’altro che un foglio di carta e una matita per ingannare il tempo placido dei primi soli, per scaramanzia nemmeno lo disegniamo il Vesuvio, preferendo addirittura orientarci sui risibili soggetti umani stesi sugli asciugamani.
R.C.Z. allora prende coraggio, nonostante la stanza che cambia di dimensioni, la musica che aumenta di volume e tutti i presenti che cominciano a cantare persino, e mi guarda come se fossi superstiziosa.
Io chiaramente nego, chiarisco però che forse quello della Bomba è un tipo di lettura più interessante rispetto a quella dei fumi dell’eruzione, più attuale ecco!
E per dimostrare la mia buona fede faccio tacere tutti e tolgo la musica, tornando ad una conversazione dalla squisita urbanità.
Ecco, valutiamo gli aspetti formali di questi dipinti ad esempio, la materia; si tratta di smalti, che in alcuni casi vengono ad assumere una qualità talmente rarefatta da evocare effettivamente il fumo, mentre in altri vengono fuori magmatici e lucidi, come se si trattasse di qualcosa di schifoso in fusione.
A guardarli alcuni dipinti di Erre Ci Zeta potrebbero sembrare meduse, costellazioni; alcune delle sue sculture (messe su un piedistallo tra l’altro… ma allora un elemento di fascinazione c’è…) hanno addirittura qualcosa di organico, a creare un trait d’union i volti che hanno caratterizzato la sua precedente produzione.
Mah, comunque questa ricerca qui è più interessante di quella delle facce, e in ogni caso l’argento ha sempre qualcosa di speciale. Non è forse vero che queste sculture paiono come funghi atomici sui quali un graffitaro è passato con il colore Silver, l’argentato utilizzato in genere nel bombing che immobilizza tutto, sul quale nessun altro colore può scriverci sopra, il più specchiante dei catrami?
“Sicuramente c’è quest’idea di congelare un istante, rendere materiale il fumo”, concorda la curatrice Maria Savarese.
Passando nuovamente in rassegna le varie opere, mi accorgo che non mi viene da soffermarmi su nessuna di queste in particolare, proprio perché nessuna di queste induce a contemplazione più di altre: sono tutte a pari livello. Mi ha d’altronde confermato questa impressione lo stesso Zamb, con quel suo garbo all’Angustina de Il Deserto dei Tartari: “No, non c’è un’idea di progressione, qualcosa che cercavo e che attraverso vari esperimenti pittorici mi sono avvicinato sempre di più a trovare. Considero tutti i dipinti equivalenti”. Si tratta dunque tutto sommato di un esercizio sul tema, vicino all’ossessione nella sua ripetizione, il che è perfettamente in linea con l’argomento in questione.
A livello emotivo sembra però che questo lavoro si mantenga in un certo modo distante, come un’analisi fredda, come guardare delle vecchie fotografie di Hiroshima, sarà forse l’effetto di questo bianco e nero dove il bianco affonda fino al bianco più e dove il nero arriva alle tonalità più nere?
Per il loro carattere più intimo, l’inquietudine che ci si aspetterebbe dai dipinti più grandi compare invece in una serie di piccoli quadretti della stessa tipologia ma con una patina giallastra, istallate sulla parete in maniera sfasata.
Come definitiva conferma della cognizione del forte substrato che ha muove Coda Z., c’è un bel video che è stato preferito in corner ad un altro di autopresentazione dell’artista, proprio quando si è avuta la notizia dell’allarme nucleare giapponese: si tratta di un video simbolico, vagamente Cocteau, focalizzato su Hiroshima.
Chiarisce infatti Maria Savarese,: “In un certo senso questa mostra rappresenta una decisa presa di posizione dell’artista, del Pan, del mondo culturale napoletano e extranapoletano, contro il Nucleare”.
“Eppure non basta dire che una bomba cadrà/ sia pure sostenere che il fuoco celeste uscirà/ Sappiate che la terra madonnerà in grembo la Bomba/ che nel cuore degli uomini a venire altre bombe. Nasceranno/ bombe da magistratura avvolte in ermellino tutto bello / e si pianteranno sedute sui ringhiosi imperi della terra / feroci con baffi d’oro.”
LAVORI RECENTI
ROBERTO CODA ZABETTA
PAN | Palazzo delle Arti Napoli
2 – 25 aprile 2011
articolo originariamente pubblicato su Art a Part of Cult(ure)