La Paura dell’Altro, Sergio Ragalzi, Paolo Grassino alla Sala Santa Rita di Roma
Quanta ironia nel collocare una mostra dal titolo “Paura dell’Altro” proprio in una chiesa, quantunque sconsacrata: “Non ti dico che casino conla Sovraintendenzaper collocare la scimmia di Ragalzi sull’altare”, mi dice avviluppato in una mantella beige Carlo Pratis della Galleria Delloro (galleria tra i quali artisti figurano Paolo Grassino e, appunto, Sergio Ragalzi).
Ma andiamo ai fatti e bando all’anticlericalismo, che pure quella è una moda, e d’altronde il Papa ha pure ammesso che nelle Crociate c’era un piccolo errorino.
Si parlava di scimmie.
Allora, ce l’avete presente quando nel Libro della Giugla c’è quel tempio abbandonato, occupato (nel senso centrocialesco del termine) da oranghi?
Ecco, prendete quell’emozione che, sono certa, avrete senz’altro provato con i vostri nipotini o figlioletti sulle gambe, o magari proprio voi stessi in braccio a papino e mammina.
Prendete quell’emozione e intingetela in quelle notti dove, un po’ più grandicelli, non riuscivate a prendere sonno per paura della morte, del nulla: avrete Ragalzi con sua serie delle scimmie.
Può darsi non vi basti. Può darsi sentiate la necessità di contestualizzare la cosa.
Bene.
Immaginate di essere nati a Bassano del Grappa, e di avere nel cassetto un fazzoletto della Lega Nord, con vostra moglie sprezzante che lo usa per pulire il vaso da notte sotto il giaciglio coniugale. La vostra casa, nonostante l’opposizione della consorte dotata di un minimo di buon gusto, tracima di cianfrusaglie padane, suppellettili di legno, centrotavola rustici e coltellini svizzeri. L’arredamento in effetti sembra voler soffocare un certo horror vacui ma, ebbene si, tirando via il sipario è proprio questo che rimane: il Grande Vuoto.
Quando nel buio della notte non si vedono gli oggetti, l’amata coniuge in virtù delle vostre opposte convinzioni politiche vi nega un po’ di tenerezza, ecco in lontananza le urla mute delle scimmie di Ragalzi.
Che fare? Verso cosa rivolgersi? Con chi prendersela? Dove trovare un appiglio?
Gli immigrati, i terroni, i ruba-lavoro. Le scimmie urlano.
Urlano collocate nelle nicchie come grandi dipinti scuri che ricordano per imponenza i grandi del passato. Ma la cupezza è l’unica cosa che rimane dei Caravaggisti; in queste scimmie c’è la lucida freddezza dello psicanalista che si fa pittore, adoperando simboli forti, svuotati d’ogni illusione di trascendenza.
Se Ragalzi lavora sulle ombre dell’essere umano rannicchiato nelle lenzuola, Grassino sembrerebbe essere un po’ più positivo.
Lo è?
Abbiamo già visto i suoi corpi in cemento armato denunciare situazioni sociali: la solitudine delle sue figure è giacomettiana, lo spirito con il quale lascia che queste sculture vengano attraversate da altri materiali è in primo luogo una sensazione fisica.
Ecco cosa capeggia al centro della Sala Santa Rita: una scultura grigio-città attraversata da fili in un ammasso alle sue spalle, collegati a lampadine fuoriuscenti dal petto e dalle gambe. Non si può guardare quest’uomo di faccia, ammenochè non si voglia fare la fine di Semele, la luce delle lampadine è troppo accecante.
L’intrico di fili elettrici che gli escono dalla schiena è un legame ancestrale a qualcosa. Un legame o un peso? La paura dell’altro c’è, ma in questo contesto spirituale della cappella, la prima impressione è quella di una fiducia nell’uomo, visto da Grassino non come un semplice pezzo di cemento, ma un essere capace di generare luce, in virtù di un substrato che è quello che ha ritenuto dalle proprie esperienze e le proprie conoscenze.
Si d’accordo, hanno ragione i vostri sopraccigli ad inarcarsi, può darsi che la sera dell’inaugurazione fossi eccessivamente simbolista, un pò ‘mbriaca e che ci abbia dato troppo dentro con “les Correspondaces”. Continuando su quella scia non posso che vedere così il rapporto tra i due artisti torinesi: un uomo solo, capace di speranza, di vita, agli altari delle sue paure, sottomesso a un religione (qualunque essa sia, dai videogiochi alla politica) che gli sussurra all’orecchio come un Vermilinguo di Tolkeniana memoria.
La paura dell’altro, brutta storia davero.
Ma portare questa mostra in tour a Bassano del Grappa?
Naima Morelli
Pubblicato su Art a Part of Cult(ure)