GÉRARD GAROUSTE, Le Classique et l’Indien
Sulla pittura di questi tempi se ne dicono più che sul punk dieci anni fa; la pittura è morta, la pittura non morirà mai, la pittura esiste solo perché è una certezza per i non-introdotti all’arte contemporanea e così via.
Ognuno ha la sua opinione e a maggior ragione un pittore contemporaneo come Gèrard Garouste ne ha una, e la grida con fermezza dalla sua retrospettiva a Villa Medici.
Sappiamo che dopo la batosta dell’invenzione della fotografia, il colpo di grazia alla pittura è stato inferto da quell’ottimo giocatore di scacchi qual’era Duchamp.
Se per molti la lezione di Marcel è equivalsa ad un superamento della pittura, Garouste ne ha ritenuto l’insegnamento opposto; vista la saturazione della sperimentazione pittorica la quale ha portato appunto all’invenzione del ready made “la pittura deve ritornare a soggetti complessi, rivolgendosi al suo passato”.
Orrore e raccapriccio, un ritorno al più oscuro, simbolista figurativismo! Ma sarà poi davvero orrore e raccapriccio?
Garouste ha assimila le avanguardie, si confronta con i grandi maestri della storia della pittura, si ispira alla Bibbia, alla Divina Commedia, a Don Chisciotte, alla Haggadah ebraica, trasferisce il tutto su tele generalmente di grande formato, o addirittura tele indiane (vale a dire senza telaio).
Insomma porta avanti il suo discorso con coerenza e profondità, altro che la furbizia di molti suoi colleghi concettuali, e spiega: “Dipingere significa evidenziare un’assenza, ecco il vero soggetto della pittura”. Noi spettatori di queste visioni su tela non possiamo che annuire: “C’est ça Monsieur Garouste”
Senza rispettare un ordine rigorosamente cronologico, la mostra si snoda su tematiche via via più elaborate, in modo da avvicinarci per livelli di crescente complessità alla poetica dell’artista.
Si parte con i ritratti, e immediatamente un visitatore dalla cultura trasversale potrebbe leggerci dentro parimenti Bacon, Grosz e Mister Fantastic dei Fantastici Quattro.
Mentre i volti sono ben riconoscibili nei loro tratti salienti, il corpo è allungato, snodato, distorto: “Ho piegato le membra dei miei modelli, li ho ritorti, disarticolati, stirandoli come lettere. Le membra diventano cittogrammi.” Questa audace invenzione non preclude però riferimenti all’antico, come la poltrona di velluto rosso la quale facendo paio con lo sfondo verde, ricorda da vicino i ritratti papali.
Dai ritratti si passa alla grandi tele, e qui l’interpretazione si fa variegata, così come dovrebbe essere per ogni opera degna di interesse. Se l’enigma di grandi tele come “Chartres” assorbe la coscienza e affascina (come molti altri dipinti si tratta della rappresentazione di un sogno), il quadro che un profano avrebbe interpretato come un capolavoro di ironia, con l’asino e l’insegnante di spalle a rappresentare i cattivi insegnanti, è in realtà un gioco tra le parole ebraiche Aton (asino) e Teina (fico), emblema di una maturazione dello spirito.
L’asino, soggetto ricorrente nella poetica dell’artista, nell’accezione biblica contenuta nelle intenzioni di Garouste ha il significato opposto a quello attribuitogli dalla nostra cultura moderna; altro che in punizione dietro la lavagna, ciuccio! L’asino è portatore di giustizia e saggezza.
Giochi con l’etimologia delle parole sono molto frequenti, così giochi sinestetici come in “Le jouer de flute”, un pazzo che suona un pennello come se fosse un flauto.
Alcune volte, vedi le “Le fils cadet”, l’artista materilizza figure inquietanti alla Redon che sono indecifrabili tranne che per intuizione ubriaca , come in uno stato di dormiveglia.
Convinto che la memoria della retina sia portatrice di una memoria collettiva, in molte tele si sofferma sull’importanza di tramandare conoscenze e concezione della verità.
Nell’importante serie “commedia poliziesca”, costituita da tre momenti, ritorna la famigerata ma abilissima del gioco degli scacchi figura di Duchamp, anch’essa inserita nell’universo simbolico creato da Garouste, e si riapre la polemica sulla pittura “bisogna costruire dove Duchamp ha distrutto”. A quel punto, dopo tanto olio su tela, anche noi abbiamo capito quando dice che la pittura è comela DivinaCommediadi Dante “Più il testo è preciso, meno è comprensibile”.
Per la pittura figurativa, per la pittura, per l’arte, bisogna ripartire dal soggetto e, faites attention, che sia complesso, che si presti a una molteplicità di livelli di lettura a seconda dei codici comunicativi e dell’ambiente socio-culturale dell’observateur.
E’ un’opinione certo, ma da Villa Medici ne esci convinto per davvero.
Naima Morelli
Pubblicato su Teknemedia
Gérard Garouste – Le Classique et l’Indien
Villa Medici – Accademia di Francia, Roma
Dal 14 ottobre 2009 al 03 gennaio 2010