Nothing’s happened since Yesterday: Testo Critico
Si è da poco conclusa la mostra con mia curatela “Nothing’s happened since Yesterday – Due artisti da Melbourne” di Georgina Lee e Kenny Pittock alla Galleria 291est, Roma. Se non avete avuto modo di visitarla ma siete curiosi di sapere di che si trattava, ecco il mio testo critico a corredo della mostra, più una galleria di immagini:
“Paesi geograficamente lontani da noi come l’Australia suscitano suggestioni diverse che dicono molto non tanto del paese stesso, quanto della persona interpellata.
Per alcuni all’Australia si associa all’esodo in corso della gioventù italiana in cerca di prospettive lavorative. Sono infatti sempre di più coloro disposti ad affrontare più di 24 ore di volo e un cambio radicale per sistemarsi in quella che è vista come la nuova America. Per loro l’Australia sarebbe tutta percentuali di disoccupazione bassissime, clima amichevole e qualità della vita alta; almeno secondo le statistiche. Per altri invece Australia vuol dire esclusivamente spiagge sconfinate popolate da biondi surfisti abbronzati. Altri non penseranno altro che ai coccodrilli e ai cappelli di pelle a falda larga con i dentini di alligatore (ne ho uno e sono indecisa se indossarlo all’opening di questa mostra o meno, giusto per il gusto di farmi accoltellare dai due artisti indignati per lo stereotipo). E visto che ci stiamo attardando sugli stereotipi, nominiamoli pure questi famosi canguri! Io personalmente, oltre a collezionare i summenzionati cappelli, dell’Australia sognavo il deserto. E una jeep, pur non avendo la patente. Proprio a Melbourne ho scoperto mio malgrado che non c’è poi così tanto deserto; quello che ho trovato è stata però una scena artistica vivacissima, in attesa di un collegamento con il mondo esterno.
Abbiamo un bel dire “mondo globalizzato”, eppure l’Australia, per quanto riguarda l’arte contemporanea, rimane terra incognita per molti.
La volontà di colmare questo vuoto è stata tra le ragioni per cui ho intrapreso la ricerca che si concretizza in questa mostra alla Galleria 291est. Un giorno ho detto alla direttrice del magazine Art a Part of Cult(ure) che d’ora in avanti avrebbe dovuto chiamarmi “corrispondente straniero”. A breve sarei partita per Melbourne e ci sarei rimasta un anno. Lei senza smuoversi mi ha detto: “Si, si, fai pure!”. E così sono partita. L’idea era quella di un reportage sugli artisti emergenti a Melbourne. Non vedevo l’ora di saperne di più di questa famigerata “arte contemporanea australiana”. Niente mi aveva preparato per quello che avrei incontrato per le stradone della capitale dello stato del Victoria.
A Melbourne chiunque sembra essere un artista. Dalle bisnonne con i capelli rosa e i pantaloni zebrati, agli hipster con la montatura di occhiali alla moda e i calzoncini corti alla Angus Young, nessuno ha intenzione di tenere a bada la propria vena creativa. E perché dovrebbe?
L’arte contemporanea a Melbourne è alla moda e le persone gli si approcciano con curiosità, senza il tipico scetticismo popolare (Sicuramente anche voi vi sarete seduti almeno una a tavola con i vostri genitori e loro:“A te che piace tanto quest’arte contemporanea, dimmi, mai nessuno ha mai pensato ad esporre il nulla?” Seguono sghignazzi. E tu con pazienza: “Già stato fatto, Gino De Dominicis.” “Eh ma allora è già stato fatto tutto! Non si può manco scherzare su questa maledetta arte contemporanea!”)
Il fatto che in Australia l’arte contemporanea venga presa con più serietà è abbastanza naturale: non avendo una storia dell’arte locale pregressa nel senso occidentale del termine, gli artisti si trovano davanti al difficile compito di costruire la propria storia dell’arte dall’ora, da questo preciso momento.
Il loro compito è sicuramente più semplice rispetto a quello di un artista italiano. Con Guido Reni e i Carracci che ti squadrano ad ogni chiesa, il giovane accademico italiano si trova a confrontarsi quotidianamente con ingombranti modelli di un passato glorioso. Questa indubbia ricchezza culturale conferisce profondità al lavoro di molti giovani artisti, ma allo stesso tempo ne appesantisce o addirittura inibisce altri.
Gli artisti australiani al contrario sono tabule rase. Il fatto che non riconoscano la cultura europea come propria, da il la ad atteggiamenti disparati al momento di farci i conti. Kenny Pittock, uno dei due artisti in mostra mi ha detto:“Guarda, l’unica cosa che mi interessa vedere veramente a Roma sono i pittori che si chiamano come le tartarughe ninja, Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello.” Orrore e sacrilegio? Probabilmente semplice spensieratezza.
Georgina Lee invece, l’altra metà della mostra, è perdutamente innamorata dell’Italia. Non sono l’ha visitata più volte, ma anche sta seguendo un corso universitario a Melbourne chiamato “Museologia a Firenze”.
La visione dei due artisti non differisce solamente nel modo di guardare alla cultura italiana, ma per quanto riguarda il loro approccio alla realtà di Melbourne.
Kenny, lo si è già visto, è l’emblema del bighellonare e della rilassatezza australiana. Con le sue opere ironizza, non senza compiacenza, su quei sandali di plastica che gli australiani indossano persino di inverno con la pioggia, sulle merendine di cui si ingozzano fino a scoppiare, sulle riviste di gossip e sullo stile di vita di periferia fatto di grigliate e picnic. Sia l’artista che la sua opera si pongono in maniera schietta e informale. Giocare con forme e parole per l’artista vuol dire ingannare il tempo perché tanto, per parafrasare una dei suoi lavori e il titolo di questa mostra:
“quaggiù non succede mai niente”.
Georgina invece rappresenta con le sue opere l’altra faccia dell’Australia. Quella che si sveglia presto la mattina e beve un caffè americano al volo prima di andare a lavoro, che ogni giorno depenna una voce nella to-do-list e fa gli straordinari in un cubicolo per poi godersi una meritata crociera. La cultura d’ufficio è una cosa seria in Australia; non ci si mette in discussione durante la propria corsa per la scalata sociale e la carriera (“rat race” la chiamano). L’ambizione individuale viene quotidianamente fomentata dalle aziende che studiano il colore delle luci che meglio favorisca la produttività, lanciando allo stesso tempo slogan di incoraggiamento dagli altoparlanti.
Georgina, lavorando in una grande azienda, conosce questi meccanismi dal di dentro, e in quanto artista cerca di smascherarne gli intenti plagianti, nonchè la tendenza di un’intera cultura a creare individui con lo stampino.
Questa tensione di fondo nel volersi costruire una carriera si ritrova, in modalità chiaramente diverse, anche nel percorso di molti artisti australiani. Ancora prima di uscire dall’accademia di belle arti, gli artisti considerano l’arte come una vera e propria carriera. Il mito europeo dell’artista bohemien è sostituito in Australia con l’ideale dell’artista di successo, più che commerciale soprattutto sociale. Gli artisti australiani infatti non si curano di poter entrare nei libri di storia dell’arte un giorno. La loro pratica si nutre di sottoculture e ha rilevanza nel proprio tessuto comunitario, anziché cercare la regola per un capolavoro eterno.
Questo non sorprende, considerando l’età dei fruitori e i protagonisti del mondo dell’arte. A Melbourne pubblico delle mostre raramente supera i 35 anni. In questo modo il mondo dell’arte è molto più accessibile, grazie anche al pullulare di spazi gestiti da artisti ed aperti ad artisti emergenti. Questi spazi non sono un’alternativa al sistema delle gallerie, ma costituiscono piuttosto la base della piramide su cui tutte le altre istituzioni si fondano.
Gli artisti australiani sanno fare rete e si sostengono fin dall’accademia, coltivando rapporti nel tempo. Le idee fioriscono e la sperimentazione imperversa, nel bene e nel male. Quello che ne risulta è una grande energia e vitalità.
Con questa mostra spero di riuscire a creare un primo collegamento tra la scena emergente italiana e quella australiana. Ringrazio Vania Caruso e Roberto D’Onorio della Galleria 291est per aver reso questa mostra possibile all’interno della rassegna Common Place, e chiaramente Georgina Lee e Kenny Pittock in quanto “ambasciatori” di questo scambio culturale. Mi auguro che in futuro tanti altri artisti abbiano modo di staccare biglietti per la tratta Roma-Melbourne, in entrambe le direzioni.”