Naima Morelli

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Essay

Un autore di fumetti ha vita più semplice di un regista.
La sua matita può ingaggiare immediatamente come protagonista, senza bisogno di telefonate e belle parole di persuasione, l’attore prescelto, vedi Dylan Dog- Rupert Everett, Jolanda d’Almaviva- Senta Berger, Valentina- Louise Brooks e tanti altri. Inoltre può ricreare con il solo costo di un po’ di mina di matita gli effetti speciali più dispendiosi e, cosa più importante, se ne ha le capacità necessarie, può realizzare esattamente quello che ha in mente, senza dover contare su altre persone che, in modo più o meno considerevole, influiscono sul risultato finale.
Insomma, un mucchio di vantaggi se non fosse per una deficienza fondamentale: la musica.

E’ la dura realtà; niente colonne sonore per i fumetti, nonostante, da Julia a Gea fino ad arrivare a manga come Black Lagoon, i personaggi canticchiano testi di canzoni che lo sceneggiatore provvede a citare al margine della vignetta. Un’escamotage ingegnosa, chi lo nega, ma di sicuro non è la stessa cosa che sentire il pezzo con le proprie orecchie. Oltretutto non sempre il lettore conosce brano!
E allora com’è che il rapporto tra musica e fumetto si fa sempre più stretto?

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La trinità si è incrinata, e quando si parla di trinità in certi ambienti non si intende Padre Figlio e Spirito Santo, non si intendono nemmeno improbabili film con Bud Spencer e Terence Hill, diamine! Si intende l’essenza, che poi potete chiamarlo mito come potete chiamarlo clichè, ma sono solo fatti vostri; Sesso Droga & Rock’n Roll è come Pompeo, Crasso & Cesare, come Marco, Lepido & Ottaviano!

E’ incontestabile. I triumvirati si sciolgono , e allora perché dovrebbe essere diverso per la droga (che fa male più di Crasso), il sesso (che deconcentra più di Pompeo) e il rock’n roll (vale a dire Cesare, il più importante). Poi Cesare venne pugnalato ventitrè volte, e pure dal suo figlio adottivo, ma per scaramanzia non spingiamoci troppo in là con le metafore.

A rendere le droghe sempre à la page ci sono gli onnipresenti alfieri della perdizione Doherty e Winehouse, che con le loro scorribande suppliscono alle mancate trasgressioni di tutte le altre band salutiste, vegetariane, macrobiotiche.
Droga a posto allora, per il momento. E al sesso chi ci pensa?

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Maledetto.
Maledetto è l’aggettivo che svela il collegamento tra rock’n roll e la boheme.
Già la beat generation aveva attinto a piene mani dall’opera dei maudits e dopo di loro i poeti-rockstar hanno guardato ad entrambi; eppure questa roba, queste immagini, questa attitudine, è tutta ancora valida, sempre bollente, mai totalmente innocua.
C’è poco da fare; nessun accademico, pur inserendolo nelle antologie scolastiche, riuscirà mai a ripulire la reputazione di Arthur Rimbaud, che era un ribelle, un fuggitivo, uno scapestrato, in breve una canaglia, come lo definisce già nel titolo il saggio di Benjamin Fondane (recentemente tradotto da Le Nubi).
Il fatto era che il giovane bohemien odiava la mentalità chiusa e provinciale dei suoi compaesani di Charville, odiava la sua vita grigia, si sentiva oppresso dalla madre, dalla sua eccessiva preoccupazione per la rispettabilità, dalla rigida morale, dalla religione vissuta in maniera soffocante, quindi cos’altro poteva fare, se non fuggire? Fuggì allora, ma non a casa della nonna.
Prese il treno per Parigi.
Fu proprio nell’intenso periodo parigino che scrisse la famosa “Lettera del veggente” dove diceva, in breve, che per pervenire all’ignoto bisognava sregolare i sensi mediante l’uso di droghe, che poi è quello che teorizzerà anche Aldous Huxley prendendo il titolo del suo libro da un famoso verso di William Blake, un altro grande poeta pazzo ispiratore del rock.
Già, “Le porte della percezione”. D’altronde lo sappiamo tutti, gli anni di Huxley erano i ’60 quando rigetto dei valori borghesi e l’abbandono dalla casa parentale erano diventati qualcosa di più della fuga isolata di un ragazzino francese dal ciuffo spettinato.

Ed ecco allora Rimbaud scrivere in una lettera indirizzata al suo professore di Francese, quasi a dare voce a tutti i futuri sessantottini,:“Lei non è più insegnante per me. Io Le dono questo: della satira, come direbbe Lei? Della poesia?È la fantasia, sempre. – Ma, La scongiuro, non sottolinei né con la matita, né troppo con il pensiero…”.

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A guardarlo l’impressione è quella di assistere ad un solenne incontro di tre meravigliose balene argentate ma a quanto pare l’Auditorium di Renzo Piano è come le nuvole: ognuno lo interpreta come vuole, secondo la sua ispirazione del momento.
C’è chi chiama le tre sale scarabei, chi le paragona ad armadilli e diamine! le ho sentite anche paragonate a dei panini avvolti nella carta argentata, ma ufficialmente si chiamano Santa Cecilia, Sinopoli e Petrassi.

In realtà l’Auditorium nasce per l’esigenza di colmare una frattura urbana tra la collina di Parioli e la pianura fluviale del Tevere dove era stato costruito il villaggio olimpico a ridosso del quartiere Flaminio. Nel ’94 il comune di Roma bandisce una gara internazionale, e il progetto vincitore risulterà quello di Renzo Piano, che di concorsi ne ha vinti parecchi (basti pensare che in questo modo ha avuto occasione di realizzare il famosissimo Beaubourg, in collaborazione con Rogers).

Di Piano si è detto che perseguisse “la versatilità poetica delle forme e delle idee”. A guardare la sua opera omnia, almeno fino ad adesso, compiuti da poco 70 anni non dà accenni di voler smettere, è difficile dargli torto. C’è chi lo accusa di non avere uno stile riconoscibile, un complimento per uno per il quale lo stile corrisponde ad una gabbia, le cui sbarre sono i vincoli ad elementi architettonici sempre presenti nell’opera di un architetto; la sfida è attingere da tutti gli stimoli possibili per cambiare ogni volta. Più che i detrattori quindi, sono alcuni estimatori a fargli torto, elevandolo a archistar, una rockstar della progettazione, definizione che a Piano rifiuta. Piuttosto bisogna riconoscere che nel suo Auditorium Parco della Musica di rockstar vere e proprie con tanto di chitarra dalla sua inaugurazione nel 2002 ne sono passate parecchie, visto che il comune di Roma organizza continuamente concerti e spettacoli in questo centro multifunzionale.

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