Alain Fleischer da LimenOttoNoveCinque
“Ogni foto è un’esperienza.” conclude con accento francese, capello bizzarro, faccia gentile Alain Fleischer.
Prima di questa conclusione c’è ovviamente tutto il lavoro in mostra da Limen OttoNoveCinque, fotografie ad un primo sguardo cariche di mistero e quasi indecifrabili.
Il ciclo fotografico principale “Happy Days”, consiste in grandi stampe dove provare a descrivere il soggetto è già avventurarsi in un sogno surrealista: una cornice per terra, una proiezione di protagoniste femminili da quadri dell’antichità, un giocattolo a motore raddoppiato che sembra agitare la scena.
Gli effetti di sovrapposizione e illusione farebbero pensare ad un banale utilizzo di Photoshop: niente di più sbagliato. A differenza di quanto si possa credere, è solo questione di una grandissima abilità tecnica. Non di meno il processo con cui sono stati presi questi scatti è parte del simbolismo delle opere.
Spiega l’artista che si tratta della creazione di un collegamento del mondo adulto con quello infantile: “Gli adulti attaccano i quadri sempre alle pareti, i bambini giocano per terra. Ecco che proiettando un’immagine dall’alto, emerge questa impalpabile relazione.”
E si ci potrebbe inoltrare ancora più addentro a queste Correspondaces, in un gioco di rimandi infiniti.
« E’ la dimostrazione del potere della fotografia di catturare l’impalpabile ; io non ho mai visto queste immagini, esse esistono solo in quanto sono state fotografate. Questo giocattolo lo vediamo multiplo solo per via dei tempi di esposizione, così come questa proiezione che sembra scivolare fuori dal suo frame. »
Si avverte molta nostalgia in questi scatti, una suggestione malinconica come se l’artista volesse ricomporre il passato attraverso frammenti di luce.
Carpisco brani di discorso di un fruitore dalla fluente chioma rossa vicino a me : « … un ES invisibile che genera un superio etereo…»
« Prego? »
Un’altra serie di fotografie nella stanza più piccole consiste in stampe più piccole in bianco e nero, estremamente liriche, ancora animate da uno spirito surrealista, così come il video, un uomo che si muove sotto delle coperte generando un’ombra a forma di profilo umano.
« Ho realizzato il video e gli scatti a Villa Medici, L’Accademia di Francia qui a Roma, dove sono stato borsista per due anni, dall’85 all’86. Anche i lavori a colori nell’altra stanza sono dell’85… »
Chiedo il perchè della scelta di esporli proprio adesso.
E’ il gallerista, nonchè curatore di questa mostra, Massimo Riposati, a rispondere a questa domanda :
« E’ evidente la bellezza straordinaria di queste opere, già pubblicate in un libro che io e Alain abbiamo fatto insieme. A me queste fotografie paiono di un’attualità straordinaria… non credo di sbagliarmi se parlo di un’avanguardia della nostra contemporaneità ! »
Infine in una stanza nascosta da una tenda rossa, l’istallazione, che è un pò la summa di tutta questa foresta di simboli. Un uomo telecomanda una barchetta a motore in una piscina buia. Nell’acqua pezzi di specchio che riflettono sui muri della stanza delle proiezioni. Il mito della caverna prende la forma delle donne della storia dell’arte.
Alle 7 comincia la performance. L’uomo lascia il posto ad un’attrice, Gaia Riposati, che legge frammenti di un romanzo Diva Navi.
Arte come racconto, fotografia come traccia, frammento come nostalgia. Un labirinto, quello di Alain Fleisher, nel quale vale la pena di perdersi.
Naima Morelli 2012
Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, proverò senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’è solo una cosa di cui vorrei parlare più approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.