Nerocorpo di Ragalzi: il perfetto equilibrio termico della più profonde energie umane
L’arte di Ragalzi sono le impressioni tre secondi e mezzo dopo essersi svegliati in seguito ad una caduta dal letto.
Si dal caso che la sera dell’inaugurazione dal letto era caduta una bella folla, e la formula della Galleria Delloro, che potrebbero inserire a fianco al loro logo tipo barretta kinder +latte –cacao, è invece +vivacità –biondone da vernissage. L’età media infatti attorno a questa galleria si abbassa, nonostante gli artisti proposti non sono propriamente dei pischelletti, ma chissà, saranno i galleristi che parlano del lavoro di Ragalzi come se si trattasse dell’ultimo album della loro rockstar preferita (e in effetti nelle opere di Sergio qualche accordo di un certo tipo di metal risuona limpido), saranno strane sostanze dai poteri persuasivi disciolte nel soave vino, sarà insomma qualcosa di significativo che porta sangue giovane nell’angolo di Piazza Dell’Oro, dove si trova appunto l’omonima galleria.
Do di gomito a una sconosciuta di fronte alle “opere foglia” alla parete, e lei come azionata dà il suo parere con voce spiritata “Sergio… ha questo linguaggio archetipale… perché è difficile sa… parlare in maniera così chiara, così chiara” e qui gli occhi cominciano a luccicarle, forse a riempirsi di lacrime? Non mi è dato a sapere perché abbassa immediatamente lo sguardo come a controllarsi qualcosa sotto la punta delle appuntite scarpe “… è molto, molto difficile parlare di archetipi senza cadere… nel banale…nel già visto insomma…” “Muove qualcosa dentro” azzardo io. Lei annuisce in silenzio, mormorando qualcosa di incomprensibile.
Mi sposto simmetricamente nella prima stanza, dove si trovano delle grosse unghiate metalliche, sculture nere anch’esse dalla chiara simbologia femminile. Attivo un altro avventore pestandogli il piede – niente di grave, aveva brutte scarpe. Si fa tutto rosso poverino. Poi si ricompone, osserva scettico il mio cappello – ma ti sei visto le tue scarpe zio? – e poi finalmente, sotto sollecitazione, si decide a dare il suo giudizio sull’opera. “Bello”.
Non le sembra un po’ riduttivo bello? Argomenti, suvvia, nonostante le sue scarpe mi sembra un tipo sveglio, pensa che se mi dice qualcosa di interessante il suo intervento finirà in una scoppiettante recensione di Art a Part. Il buon’uomo diventa paonazzo, con la voce di un palloncino a cui piano piano si fa uscire l’aria, un fischio d’agonia, e poi di nuovo con il piede sul gonfiatore, si decide a sbottonarsi “Dico, mi piacciono queste opere perché, non so, sono inquietanti ma hanno una loro, beh si una loro purezza.” “Una purezza inquieta” suggerisco demagogicamente. Il nasetto del signore si fa sdegnoso “Ma no, nemmeno, insomma, i riferimenti sono chiari signorina, non può fare finta di non capire di cosa parli” “Eppure lo fa ad un livello molto alto…” “Già, e freddo, per alcuni aspetti… “Come qualcuno che osserva un concetto e lo immobilizza nella grafite come Han Solo in Star Wars, per farci i conti, eppure sapendo bene che tutta questa potenza potrebbe in qualche modo essere immediatamente liberata. E’ un metallo pulsante, dovrebbero metterci davanti il cartello triangolare di pericolo, ma davanti tutta la sua produzione proprio, mica solo queste opere, dovrebbero scriverci lontano i poveri di spirito, i tristanzuoli che perdono la vista su rivistacce per adulti, e avanti chi aspira alla trascendenza, alla purezza, come diceva lei stesso”. Il signore dalle brutte scarpe dilata le piccole narici, serra la bocca e increspa il mento, annuendo in segno di approvazione. Sta per chiedermi qual è il mio episodio preferito di Star Wars quando trova un suo amico, tal Paolo, e si allontana. Gli avrei detto che è “L’impero colpisce ancora”
Faccio un’altra navigazione tra le opere, poi faccio per uscirmene, quando Carlo Pratis, uno dei due galleristi, mi indirizza verso un piano sotterraneo.
Lì giù un gruppetto di avvinazzati barcolla con cognizione di causa davanti alla potentissima istallazione; degli ombrelli scagliati come razzi, oramai il mood è Guerre Stellari, mi dispiace, verso un cielo donna- con quella collana di perle al centro, che già trasporta verso un’altra dimensione. Un buco nero che risucchia energia o che forse emette energia. BAM. Quegli ombrelli conficcati nel muro come un anelito, una sfida umana pari a quella di Sisifo, sono l’assolo di questo metallaro dall’aspetto introverso e dai modi cordiali che è Sergio Ragalzi.
Uno del gruppo che ancora barcolla al centro della stanza, con gli occhi sempre troppo gentili di uno che beve parecchio, come direbbe un certo bolognese, dice dell’istallazione: “No niente…” e dopo una lunga pausa “…eppure tutto”
Neanche il tempo di godersi questa costatazione, che un suo amico in vena di poesia sbotta rumoroso “Tutto è niente!” “Ma vaffanculo!” replica l’altro.
Mentre i due si allontanano probabilmente a regolare i conti fuori dalla galleria, seguiti dai loro amici, mi concentro sull’ultima istallazione, delle sedie vuote, delle scarpe senza piedi. Mi vengono in mente la tipologia “uomo invisibile” che si mette seduto su Via del Corso e su molte altre strade d’Italia, con il cappellino per racimolare un po’ di soldi, il maglione tirato fin sulla testa e una struttura trasparente a tenere occhiali e cappellino, così che gli abiti sembrino abitati da una presenza, invece che da un corpo.
Ma anche oggetti che diventano l’ultimo certificato di una presenza. Un uomo e una donna che non ci sono, seduti vicini, ed un ombrello aperto. Molto Magritte, 100% Ragalzi.
Prima di rimettersi a letto e massaggiarsi i lividi della caduta, vorrei soffermarmi un po’ sul titolo della mostra Nerocorpo. Dice l’astrofisico Diego Tasselli che il Corpo Nero, è un corpo in perfetto equilibrio termico, in cui l’energia irradiata (o energia prodotta), è uguale all’energia che lo irradia (o energia assorbita). Infatti esso non riflette alcuna radiazione ed appare perfettamente nero. Ora io non me ne intendo di astrofisica, ma non è forse vero che questo è un bellissimo paradigma? Dormiteci su.
Naima Morelli
Pubblicato su Art a Part of Cult(ure)
09.12.10 – 25.02.11
Delloro Contemporary Art | Via del Consolato, 10 – 00186 Roma